Il grano che noi tutti mangiamo oggi non è uguale al grano che veniva coltivato fino alla metà del secolo scorso.
Tutto è cambiato con la cosiddetta “rivoluzione verde”, ossia con l’entrata della chimica e della meccanizzazione nel mondo dell’agricoltura. Con l’obiettivo di contrastare la fame nel mondo intorno alla metò del secolo scorso gli scienziati sono riusciti a produrre in laboratorio varietà di grano che garantiscono una resa migliore e una migliore lavorabilità. Questa strada ha portato in pochi decenni al grano di oggi, un prodotto in linea con le esigenze dei grandi produttori ma che ha decisamente perso parecchi punti sotto l’aspetto nutrizionale. Il corredo proteico del grano moderno è fortemente sbilanciato, e questa caratteristica rende i suoi derivati meno digeribili e responsabili di diversi processi infiammatori.
Al di fuori di questo scenario esiste una produzione, insignificante per quantitativi commercializzati rispetto al grano industriale, che sta cercando di valorizzare alcune varietà di semi naturali, frutto di una selezione avvenuta per mano degli agricoltori nel corso dei secoli e non di incroci e studi di laboratorio. Queste varietà di grano hanno caratteristiche nutrizionali che le rendono molto più digeribili, in quanto per la loro composizione proteica hanno una scarsa capacità infiammatoria.

Il glutine, composto proteico venuto alla ribalta negli ultimi anni con l’esplosione della celiachia, è presente sia nei grani antichi che in quelli moderni, ma con una sostanziale differenza: la forza, caratteristica misurabile con l’alveografo di Chopin. Se nei grani antichi il valore si aggira sui 40-80 W, nei grani moderni si arriva anche ai 350 W. Più proteico è il grano, più forte sarà la farina che se ne ricaverà. Questo sbilanciamento proteico rende appunto i grani “forti” più infiammatori rispetto agli altri.
Per un celiaco quindi non sarà possibile consumare neanche i grani antichi, ma per tutti i soggetti sani potrebbe essere una buona forma di prevenzione quella di consumare varietà antiche di frumento, meno tossiche per il nostro organismo.
Per quanto riguarda l’impatto ambientale i grani antichi non hanno bisogno di importanti quantità di fertilizzanti e pesticidi, perché non sono piante nate in laboratorio, e quindi potremmo dire che sono più abituate a lottare per la sopravvivenza. La loro resa è decisamente minore rispetto alle varietà moderne, ma questo è ampiamente compensato da costi di produzione decisamente più contenuti (minore quantità di acqua, di pesticidi e di fertilizzanti). I grandi antichi vengono coltivati rispettando l’ambiente circostante secondo un metodo di produzione che è stato adottato dall’uomo fino alla metà del secolo scorso. Le moderne tecniche agricole invece prevedono di adattare l’ambiente al tipo di coltivazione voluta, e questa filosofia sta danneggiando ecosistemi terrestri ed idrici, compromettendone la biodiversità. E’ una politica questa che non può garantire un futuro sereno al nostro pianeta e alle generazioni future. D’altra parte, come scrive Gabriele Bindi nel suo libro “Grani Antichi”, i grani nuovi sono “varietà che in natura difficilmente sarebbero esistite e rimaste in vita, soffocate da piante più vigorose, figlie di un parto medicalizzato alla cui nascita hanno contribuito genetisti e addirittura fisici nucleari”.
Chiudo infine con una domanda: attualmente un terzo del cibo prodotto a livello mondiale viene gettato, diventa spazzatura. Con questa premessa che senso ha cercare di incrementare ancora le produzioni? Non sarebbe forse più sensato lavorare affinché il cibo arrivi là dove ce n’è più bisogno? Rendere la Terra un immenso orto farebbe arricchire pochi gruppi industriali, ma allo stesso tempo si genererebbero dei costi ambientali e sociali incalcolabili

Per chi volesse approfondire l’argomento suggerisco il libro Grani antichi di Gabriele Bindi. E’ un testo ricco di informazioni e di facile comprensione. Espone il tema dei grani antichi affrontandolo da più punti di vista focalizzandosi poi su un’analisi delle singole regioni italiane