In molti almeno una volta nella vita avranno sentito o letto la famosa affermazione di Einstein: “Quando le api spariranno, allora rimarrà poco tempo anche agli uomini”. Frase piuttosto drammatica ma purtroppo sostanzialmente corretta. Questi piccoli insetti impollinano, e nessun’altra specie sulla Terra esegue la stessa mansione.
Se le api sparissero → no piante → no animali → no uomo.
Qualche numero per sottolineare l’importanza delle api per la nostra specie e per il nostro Pianeta:
le specie che dipendono dalle api sono 250.000; in agricoltura 90 colture sono ape-dipendente; l’INRA (Istituto Nazionale di ricerche agronomiche francese) sostiene che l’84% del coltivato dipende dal lavoro delle api; un singolo alveare, mediamente composto da 30.000 api, visita e quindi impollina qualcosa come 20.000.000 di fiori al giorno.
Dagli anni ’90 le api hanno cominciato a morire, apparentemente senza ragione. Intere colonie sia di api domestiche sia di api selvatiche non tornano al proprio alveare e muoiono lentamente di stenti. Secondo la rivista Science in Gran Bretagna sono sparite la metà delle api selvatiche e nei Paesi Bassi addirittura il 67%. Un elemento che gli scienziati hanno tirato in ballo per cercare di dare una spiegazione a questo terribile fenomeno è il clima: l’aumento medio della temperatura potrebbe aver sballato i ritmi ultrasecolari delle api, che attualmente lavorerebbero per un periodo di tempo superiore a quello che possono fisicamente sopportare. In pratica per loro è come se la primavera si fosse allungata, e questo carico extra di lavoro potrebbe essere la causa della loro moria.
Altra teoria, sempre collegata al clima, è che le temperature più alte degli ultimi anni hanno preparato il terreno ideale per un acaro che attacca le covate delle api, la verroa distructor.
Negli Stati Uniti hanno dato la colpa ad un virus e ad un fungo, la cui azione combinata potrebbe essere la causa della strage delle api.
L’università di Losanna ha condotto uno studio ed ha concluso che le onde emesse dai cellulari causerebbero disorientamento nelle api impedendo loro di tornare all’alveare.
Per altri scienziati la causa numero uno di questa strage silenziosa sarebbe una soltanto: i pesticidi. Una categoria di pesticidi in particolare, i neonicotinoidi, si è dimostrata letale per le api, riuscendo ad ucciderle in soli due minuti. “Semplificazione ecologica” è la definizione utilizzata per descrivere il processo causato dall’abuso di pesticidi: queste sostanze velenose colpiscono in maniera democratica, nel senso che dove vengono utilizzate non fanno alcuna distinzione tra insetti infestanti/cattivi e insetti utili: uccidono tutti, punto e basta. Eliminando però anche quegli organismi che potrebbero dare una mano nella difesa delle colture l’agricoltura è sempre più chimica-dipendente. Se fosse in atto una guerra, potremmo definire la strage delle api come un effetto collaterale.
Un punto a favore delle api è stato segnato proprio quest’anno, quando l’Unione Europea ha vietato l’utilizzo all’aperto di tre pesticidi della famiglia dei neonicotinoidi. Lo stop sarà applicabile da fine 2018. Questo è un piccolo passo nella giusta direzione, ma rimane il problema di fondo. Bisogna capire rapidamente che l’uomo non ha né il diritto né la capacità di modificare la Natura a proprio piacimento. L’unica strada percorribile è quella che va nella direzione opposta: adattare i nostri stili di vita ai ritmi della Natura e rispettare il nostro Pianeta senza abusare delle risorse a cui abbiamo accesso.
La Terra è un essere vivente che si mantiene in equilibrio grazie ad un’infinità di processi estremamente efficaci che si autoregolano e che le hanno consentito di arrivare fino ad oggi; non è pensabile riuscire a modificare anche solo uno di questi meccanismi per un tornaconto immediato senza mettere in conto conseguenze importanti sul medio-lungo periodo.